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Newsletter #7 – il pilota automatico

sonia grispo newsletter pilota automatico

[Estratto dalla Newsletter del 12 apr 2022] Sono le 16:09 di un giovedì pomeriggio, giuro che l’ultima volta che ho guardato l’orologio erano le 14:00, non so esattamente come siano trascorse queste due ore. Conosci l’espressione space-out? Il concetto è vagamente simile a quello di “testa per aria”, ma in inglese credo abbia una potenza maggiore, è come estraniarsi, sparire per un attimo, non trovarsi da qualche parte nello spazio fisico e temporale. Ti è mai successo di uscire dalla doccia, avvolgerti nell’accappatoio, sederti nel letto giusto un attimo e accorgerti poco dopo che stai lì da 10 minuti a fissare il nulla? Ecco, quello.

A volte mi succede, altre volte ancora mi sembra di vivere con il pilota automatico. Sai quando conosci bene una certa strada e ti ritrovi a camminare o addirittura guidare quasi senza farci caso, mentre con la testa sei altrove (non è esattamente quello che insegnano a scuola guida ma succede a tanti), ecco, quello. Ogni tanto guardando dei polizieschi mi chiedo cosa accadrebbe se la polizia mi convocasse e mi chiedesse “dov’eri giorno x alle ore x del 2019” ed io non so neanche a che ora ho fatto colazione questa mattina (e c’è un’altissima probabilità che abbia dimenticato di farla), come posso ricordarmi dove mi trovavo in un certo giorno di una certa ora di 3 anni fa? So che sarei pessima come sospettata e mi auto-incriminerei ingiustamente.

Penso di aver guardato certi film come se avessi dovuto allenarmi per il peggio e nel frattempo ho praticato l’ansia come sport. Ogni film visto da bambina l’ho vissuto come un corso di addestramento per situazioni ipotetiche e devo ammettere che ho imparato un certo numero di cose: come scappare da un compagno oppressivo, come cambiare identità, come tingersi i capelli nel bagno di un autogrill, come fuggire da un rapitore.

Come guardare dallo specchietto retrovisore che non ci sia nessuno seduto dietro in macchina (ed io neanche guido, quindi dovrei chiedere al tassista di farmi sedere davanti per controllare), l’importanza di tenere un borsone sempre pronto con passaporto e contanti sotto il letto… praticamente vivere nel mood “nata principessa cresciuta guerriera”. 

Spacing out, zoning out, pilota automatico…­
Come quando stai leggendo un libro e ti accorgi di essere andato avanti per un’intera pagina di cui non ricordi una sola parola, i tuoi occhi hanno letto, scorso le righe una dopo l’altra, da qualche parte messo quelle lettere insieme, composto parole e frasi. Ma tu non hai idea di come sia successo, perché intanto eri altrove.  Succede quando il cervello lo reputa utile, per esempio mentre si raccoglie il bucato o si lavano i piatti, sono gesti che non richiedono la nostra attenzione, che puoi svolgere senza focalizzarti su quello che fanno le mani, ma accade anche quando l’attenzione è fondamentale. Come recepire quello che si sta leggendo, seguire un discorso mentre si ascolta qualcuno, guardare un film… a volte fa ridere, ci scusiamo e chiediamo alla persona di ripetere, torniamo indietro sulla pagina del libro o clicchiamo rewind per tornare indietro sul film. Ma altre volte preoccupa, rende distratti, assenti, non si può cliccare rewind sulla vita. Succede quando si è stressati, sovraccarichi o quando si è subito un trauma. [mi viene in mente la canzone “Numb Little Bug” di Em Beihold [la trovi nella mia playlist Spotify] Altre volte è colpa dello smartphone e della dipendenza che abbiamo sviluppato nei suoi confronti e dei contenuti di cui pensiamo di fruire, ma in realtà li subiamo come il paesaggio fuori dal treno che corre, ti passano davanti centinaia di cose: alberi, case, pecore, nuvole… cose che non fai in tempo ad osservare, di cui ti dimentichi un attimo dopo. È la stessa cosa con i contenuti sui social.
­­Abbiamo la possibilità ad accedere a così tanta informazione e allo stesso tempo è come se sovrascrivessimo ad ogni “scrollata” quello che abbiamo visto e ci ritrovassimo svuotati ogni volta, ogni volta più impoveriti. Capita, in alcuni casi, di parlare con amici e pensare che abbiamo sentito di quella notizia da qualche parte, aì ne aveva parlato qualcuno, facendo vedere un video, no una foto, forse un Reel o era una diretta? Non riusciamo ad aprire una bottiglia di passata di pomodoro e allora pensiamo che proprio ieri ci eravamo imbattuti in un tutorial che mostrava come fare, era un video su youtube, no forse Instag… no era TikTok, sì era TikTok, sicuramente l’abbiamo salvato e allora iniziamo a scorrere fra i salvataggi: cani, gattini, il video di uno che si schianta con la macchina sui bidoni dell’immondizia (perché l’avevamo salvato? Forse volevamo inoltrarlo a qualcuno, forse stavamo dormendo ed abbiamo cliccato per sbaglio… ci siamo addormentati di nuovo con il telefono in mano?)… e via così, risucchiati nuovamente nel loop. Un vortice che potenzialmente può darci tanto e concretamente ci toglie moltissimo. No non sto dicendo che i social sono il male, grazie ai social ho ripulito la mia coscienza da millennial cresciuta a film dei fratelli Vanzina e l’umorismo di De Sica e Boldi, Non è la Rai ed il politicamente scorretto usato come umorismo a discapito di tutti. Per carità, i miei genitori hanno fatto un ottimo lavoro per certi versi, ma per altri grazie ai social ho sviluppato la mia personale concezione di femminismo, mi sono informata, sono cresciuta come donna, ho cambiato idea a volte, ho affermato la mia altre, mi sono informata, ho riso, ho conosciuto persone e (che ve lo dico a fare) ho costruito una professione. Ma questo non mi rende immune, semmai il contrario, al potere distruttivo dello smartphone, con l’aggravante che i contenuti non sono solo intrattenimento per me ma anche lavoro, valutazione del mercato, dei competitor, scoperta necessaria per restare al passo con i tempi… insomma un bel casino.   ­­­
­­­Alcune volte imputiamo le colpe alla società, alla tecnologia, ai nostri genitori, agli amici, ai colleghi, all’università che ha fallito, al partner, ai professori che avrebbero dovuto/potuto fare di più. Alcune volte ci dimentichiamo che “la montagna siamo noi”, per citare un libro di Brianna Wiest (The Mountain is you) che giusto per non tradirmi non ho ancora iniziato e che ho comprato in un impulso, vergognandomene un po’ fino a nasconderlo sotto una pila di libri nella speranza che il mio fidanzato non lo trovasse (qualche giorno fa ne abbiamo parlato e non ha battuto ciglio, conferma che siamo i peggiori giudici di noi stessi). Alcune volte abbiamo ragione a trovare le colpe o la complicità all’esterno eh, ma quante volte possiamo davvero dire di non avere il controllo sulle nostre azioni? Ho sempre dato la colpa (sebbene con una buona dose di ironia) ai miei genitori per non avermi obbligata a praticare sport e farmi quindi crescere con questo impulso, ci hanno provato eh, ma la cosa che ho praticato con più costanza è stata la lamentela. L’unico sport (tralasciando l’imbarazzante ginnastica correttiva) che ho praticato nella mia infanzia è stato il nuoto, abbandonato al terzo brevetto perché mi faceva schifo camminare scalza a bordo piscina (arriccio i piedi solo scrivendolo) e trovare capelli nelle docce. Mi stressava dovermi asciugare i capelli così spesso che probabilmente avrò stressato di più mia mamma con il mio muso lungo tre volte a settimana. Converrete con me che per un genitore insistere ed “obbligare” un figlio a praticare sport è un’arma a doppio taglio, oggi gli dico che non mi hanno fatto crescere sportiva, ma in un mondo parallelo potrei essere di quelli che dipingono i genitori come mostri maniaci del controllo. È un attimo che metti al mondo qualcuno e quello 36 anni dopo ti dice che è tutta colpa tua se [selezionare argomento a caso]. Nonostante una parte di me ancora si culli con immenso piacere su questa teoria, un’altra parte di me ammette che quasi un trentennio dopo essere uscita da quella piscina buttando via la cuffietta di silicone che mi strappava i capelli, potrei assumermi la responsabilità di resettare quella “non abitudine” e cambiare stile di vita.

E invece no, e invece ho sovvenzionato per tutta la vita palestre in cui non sono andata, così tanto che quando durante i lock down della pandemia sono state chiuse, mi ha confortato sapere che almeno per anni avevano avuto i miei soldi senza che li disturbassi andandoci. Ho trascorso un paio di anni da adulta praticando sport 2 volte a settimana eh, l’ho miscelato al lavoro per prendermi un po’ in giro e non accorgermene e per un po’ di tempo ha funzionato, poi sono ricaduta nella non costanza, nel disinteresse, nello stress anche solo al pensiero.

Oggi ho ripreso in mano Fattore 1% – piccole abitudini per grandi risultati” (si trova anche qui), libro di Luca Mazzucchelli che ho in casa da un po’ di tempo, avevo iniziato e sospeso e che spiega come introdurre nuove abitudini nella propria vita; l’idea alla base è che oggi siamo il frutto delle abitudini che abbiamo adottato negli ultimi 5 anni (considerando che gli ultimi due li abbiamo vissuti in lockdown e pandemia non partiamo benissimo) e che quelle che adottiamo oggi possono renderci le persone che saremo fra 5 anni e che seguendo alcuni passi ed esercizi è possibile adottare nuovi comportamenti fino a farli propri e renderli costanti. Costanza, questa parola così difficile. Vi faccio un esempio: affinché un comportamento possa venire agilmente ripetuto nel tempo, è necessario che possieda contemporaneamente queste 3 caratteristiche: 

Deve essere attivabile con poco sforzo, ossia mi deve essere possibile innescare il primo passo in maniera relativamente semplice.Deve essere raggiungibile, ossia deve essere realistico e rientrare nelle mie possibilità. Deve essere coinvolgente, l’idea di introdurre quell’abitudine deve farmi pensare già al vantaggio che ne trarrò. Io non so se il libro di Mazzucchelli o quello della Wiest mi aiuteranno a diventare la persona costante che vorrei essere e ad introdurre le abitudini che scrivo nei miei buoni propositi da che ho memoria, quello che so è che lì fuori sembra che tutti facciano tutto facilmente e ho pensato che scrivere nero su bianco qui che non tutti sono così, non sempre e purtroppo, potrebbe fare la differenza per qualcuno che oggi legge questo mio post.

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